Su L'Aminta di Torquato Tasso by Giosuè Carducci

Su L'Aminta di Torquato Tasso by Giosuè Carducci

autore:Giosuè Carducci [Carducci, Giosuè]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2012-04-17T12:27:56+00:00


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stessa, nella seconda è anche la stessa verseggiatura che nella Mirzia.63 Veggano un po’ gli eruditi: è un caso per loro. Io intanto credo che la Mirzia, quale fu pubblicata ultimamente, è opera d’un napolitano, che imitò la Cecaria e allargò le forme dell’ecloga signorile, dopo la metà del secolo, conoscendo i nuovi esempi ferraresi.

Proprio del 1556 è una «commedia pastorale» di Bartolomeo Braida da Sommariva in Piemonte.64 Dedicata a Francesca di Fois contessa di Tenda, moglie di Claudio di Savoia governatore per Francesco I e gran siniscalco di Provenza e Marsiglia, fu probabilmente recitata a quella corte. In un dei sonetti che precedono, il poeta chiede scusa per l’opera sua cosí: Privo del studio mio, mentre ‘l crudele

Marte rivolge sossovra il Piemonte

Per quattro lustri già con danni ed onte

Empiendo il ciel di stridori e querele,

Spiegai d’Italia al scriver mio le vele

E a l’armi ancor ebbi mie voglie pronte,

Né potendo al stil volgere la fronte

Quel puoco dolce mio cangiossi in fèle.

Il buon Braida, che non però volge sempre il suo stile cosí mal destro, avea pubblicato l’anno avanti sue rime in Torino, e piú addietro, nel 1540, un’«opera nuova» pur di rime, nel cui frontespizio s’intitolava studente di legge.65 Potrebbesi supporre che avesse letto il Sacrificio del Beccari, da che in questa sua commedia espone anch’egli un intreccio di tre amori e una ninfa legata a un albero; se non che su ‘l bel principio Mercurio esce a fare il prologo come nell’ Orfeo del Poliziano, e la commedia del resto va in ottava rima come una rappresentazione del Quattrocento. Certi castelli della Val d’Aosta, pur costruiti a mezzo il secolo decimoquinto, ostentano l’architettura e la pittura del Trecento, per la ragione che ne’ paesi un po’ distanti dai centri di cultura l’arte quasi sempre rimane a dietro poco piú poco meno da cento a cinquant’anni.

I tre pastori, Tindaro, Ruffo, Alpardo, e le tre ninfe, Fileria, Augusta, Alessandra, rappresentano la parte idillica, ma non tutta gentilesca, come anche i nomi dimostrano. Basso comico è il villano, che, innamorato d’una delle ninfe, viene, anticipato monsieur Jourdain, a cercare chi gl’insegni far all’amore cortigianescamente e ben parlare: egli parla sempre il rustico piemontese e in versi corti d’otto o nove sillabe. Trova un cortigiano che se gli presta, e ne seguono molte beffe; sin che i pastori uscendo tutti con un lor bastone e dicendo non piú in versi (la rappresentazione si fa mimica) – Doh, villan poltrone, tu se’ tornato – gli dànno molte bastonate. E cosí finisce il terzo atto. Al quarto viene in scena l’elemento fantastico: un uom selvaggio, che non parla, ma ferocemente passeggia su e giú col bastone in spalla, e poi va a colcarsi sotto un albero; levatosi a un rumore di fronde dalla foresta vicina scopre le due ninfe Fileria ed Augusta, e piglia Fileria e la lega a un tronco d’albero flagellandola tuttavia con de’ vimini. In questo mezzo i tre pastori erano andati al tempio d’Amore per impetrare mercé a’ loro travagli; e



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